[normativa] i vari tipi d'interpretazione di una legge

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    Breve schema per poter approfondire l'aspetto dell'interpretazione di una norma

    1. Interpretazione letterale

    Si può dire che deve considerarsi il criterio assorbente ed esauriente rispetto a tutti gli altri canoni interpretativi del testo normativo; nonché il primo e fondamentale elemento per indagare quale sia stata l’intenzione del legislatore.

    Quando l’individuazione del proponimento del legislatore sia consentito da espressioni testuali sufficientemente chiare, precise e adeguate deve considerarsi preclusa la possibilità di ricorrere ad altri criteri interpretativi.

    Sul punto la Cassazione ha testualmente stabilito che “Quando l'interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad esprimere un significato chiaro ed univoco, l'interprete non deve ricorrere all'interpretazione logica, specie se attraverso questa si tenda a modificare la volontà di legge chiaramente espressa. (...)”. ( Cass. Sez. Lav., sent. n. 11359 del 17-11-1993).

    2. Interpretazione logica

    Quando il senso letterale delle parole non è preciso e da luogo a dubbi interpretativi, l'interpretazione letterale deve essere integrata dall’interpretazione logica che, secondo l’art.12 delle disposizioni sulla legge in generale, deve prendere in considerazione l’intenzione del legislatore.

    Aprendo una breve parentesi, si può far cenno alla due teorie che si contendono il terreno sul come deve intendersi l’espressione “intenzione del legislatore”: la cosiddetta teoria soggettiva e la teoria oggettiva dell’interpretazione .

    Per la prima l’interprete deve ricercare l’intenzione del legislatore e lo scopo che si è proposto di conseguire nel dettare quella determinata disposizione.

    Per la teoria oggettiva, invece, ciò cha va ricercato non è quello che il legislatore ha voluto, ma quello che risulta dalla legge obbiettivamente considerata, dato che la legge, con la sua promulgazione, si stacca dalle persone che l’hanno redatta ed acquista un significato autonomo.

    Teorie a parte, semplificando si può dire che si tratta di individuare la “ratio” giustificativa collegata alla introduzione della norma; ragione che può essere ben evidenziata dai lavori preparatori.

    Si cerca, in altre parole di comprendere, oltre ad individuare una ragionevolezza della determinazione legislativa, quale “logica razionale” abbia seguito il legislatore nell'ambito della sua discrezionalità.

    A proposito dei lavori preparatori, la Cassazione ha avuto modo di chiarire che ad essi può riconoscersi “valore unicamente sussidiario nell'interpretazione di una legge, trovando un limite nel fatto che la volontà da essi emergente non può sovrapporsi alla volontà obiettiva della legge quale risulta dal dato letterale e dalla intenzione del legislatore intesa come volontà oggettiva della norma ("voluntas legis"), da tenersi distinta dalla volontà dei singoli partecipanti al processo formativo di essa”. (Cass Civ. Sez. III, sent. n. 3550 del 21-05-1988).

    Successivamente la stessa Cassazione ha ribadito: “La volontà emergente dai lavori preparatori non può sovrapporsi a quella obiettivamente espressa dalla legge, quale emerge dal suo dato letterale e logico. Peraltro agli stessi lavori preparatori può riconoscersi valore sussidiario ai fini ermeneutici, quando essi, unitamente ad altri canoni interpretativi ed elementi di valutazione emergenti dalla norma stessa, siano idonei a chiarire la portata di una disposizione legislativa di cui appaia ambigua la formulazione”. (Cass. civ. sez. I 27-02-1995, n. 2230).

    In relazione agli esiti, quando i risultati dell'interpretazione letterale coincidono con quelli dell'interpretazione logica si ha un'interpretazione dichiarativa; quando il significato della norma si arricchisca, si ha un'interpretazione estensiva.

    Viceversa, quando per avere una interpretazione logica e razionale il significato del dato letterale debba essere ridotto si parla di interpretazione restrittiva.

    3. Interpretazione sistematica

    L’interpretazione sistematica di una norma, che non deve porsi contro il dato letterale e quello logico, ha lo scopo di determinare il significato della disposizione inserita nel sistema legislativo complessivo, ossia tenendo conto della disciplina vigente in cui si inserisce la norma da interpretare.

    L’interpretazione sistematica esige una correlazione ed un raffronto perché il significato della norma viene determinato tenendo conto della connessione con le altre norme.

    Si basa essenzialmente sul contesto in cui si colloca la disposizione da interpretare e sulla presunzione che il sistema giuridico sia dotato di una certa coerenza.

    In altre parole, possiamo chiamare logico-sistematica quella interpretazione che evitando in primo luogo le contraddizioni nell'ambito di un singolo documento normativo, cerca anche di escludere quei significati che renderebbero il testo incoerente con il sistema.

    Per poter valutare le ragioni per cui la nuova norma è stata introdotta si può fare riferimento ai precedenti storici che regolavano la stessa fattispecie (criterio storico).

    4. Interpretazione teleologica

    In giurisprudenza si fa spesso riferimento alla interpretazione teleologica in abbinamento agli altri criteri interpretativi già esaminati.

    Vengono usate espressioni del tipo: “... a tale conclusione concorrono sia l'interpretazione letterale e logica della disposizione che quella teleologica ...”; “... così dovendosi interpretare, in virtù di un'esegesi teleologica, logico-letterale e sistematica ...”; ... in ragione dei criteri ermeneutici letterale, sistematico e teleologico, va interpretato nel senso che ...”.

    L’interpretazione teleologica è quella che da un peso prevalente allo scopo (telos) per il quale la norma è stata emanata.

    Tale indirizzo interpretativo fu istituito dai giuristi romani per i quali già allora (traducendo dal Digesto):“interpretare le leggi non significa capire meccanicamente le loro parole, ma comprenderne l’effettiva portata nel suo complesso” .

    Scire leges - si legge nel libro 26° dei digesti – non hoc est verba earum tenere, sed vim ac potestatem (D.1,3,17.Celso).

    Il criterio di interpretazione teleologica, pur riconoscendo che la lettera della legge costituisce un limite che l’interprete non può superare e deve rispettare, porta a tenere presente, da un lato, il fatto sociale che sta alla base della norma e che è regolato da essa; dall’altro a considerare le conseguenze che deriverebbero da una data interpretazione, per escludere quelle che non corrispondono allo scopo della disposizione.

    Pur risalente al diritto romano, tale metodo interpretativo che da peso allo scopo ed ha un’impronta nettamente realistica e concreta, secondo alcuni autori, sembra adattarsi perfettamente al dinamismo che caratterizza l’epoca in cui viviamo.

    5. Interpretazione analogica

    Il sistema legislativo di uno Stato per quanto completo e dettagliato possa essere non può mai contemplare ogni rapporto e ogni situazione.

    Inevitabilmente possono verificarsi, nell’attività giudiziale, casi concreti che non rientrano in una fattispecie astratta disciplinata dal legislatore.

    Per tali situazioni, il sistema stesso ha previsto al II comma dell’articolo 12 delle disposizioni sulla legge in generale una “scappatoia”: “Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato”.

    Quindi, se un caso non è espressamente regolato lo si può risolvere per analogia in coerenza con quanto è previsto da altre norme giuridiche.

    Tale analogia è quella che va sotto il nome di analogia legis; da essa generalmente si distingue la così detta analogia iuris, la quale si ha quando non essendoci nemmeno una disposizione che regola casi analoghi si trova una soluzione facendo ricorso ai principi generali dell’ordinamento (principio di completezza dell’ordinamento).

    Come dire: una norma da applicare, anche se inespressa, si può sempre trovare nel sistema, si tratta solo di cercarne una “somigliante”, se proprio non si trova, una decisione si può sempre prendere rispettando i principi generali!

    La somiglianza è data dal fatto che, pur trattandosi di fattispecie diverse, vi è corrispondenza di quegli elementi sostanziali che sono rilevanti per la regola giuridica.

    L’interpretazione analogica si concretizza nel lavoro necessario a trovare la norma applicabile che implica un processo logico, derivante dall’esame delle disposizioni che disciplinano casi simili o materie analoghe e consiste in un giudizio di similitudine tra diverse fattispecie.

    6. Interpretazione analogica nel diritto penale

    In base all’art. 14 delle disposizioni preliminari del Codice civile il procedimento analogico non è ammesso per le leggi eccezionali (che fanno eccezione a regole generali o ad altre leggi) e per le leggi penali.

    Infatti, tutta la materia delle fonti del diritto penale è dominata dal principio di legalità condensato nella formula latina “nullum crimen, nulla poena, sine lege” (senza legge, non vi è crimine né pena).

    Principio di legalità che è implicitamente contenuto dall’art.25 della Costituzione e che è stato riaffermato nella norma fondamentale sancita dall’articolo 1 del codice penale :”Nessuno può essere punito per un fatto che non sia espressamente preveduto come reato dalla legge, né con pene che non siano da essa stabilite”.

    Possiamo dire che nel nostro diritto la situazione e chiara per quanto riguarda la così detta analogia in malam partem, nel senso che non è consentita l’estensione analogica di una norma che sia sfavorevole al reo.

    Gravi incertezze sorgono invece rispetto alle disposizioni che non risultano sfavorevoli all’imputato, come quelle che prevedono cause di giustificazione o che escludono l’imputabilità.

    Secondo l’insegnamento dei maggiori criminalisti, il ricorso all’interpretazione analogica è ammissibile rispetto alle disposizioni che vanno a favore dell'imputato, quali innanzitutto le norme scriminanti; cioè per tutta la così detta analogia in bonam partem.

    Già nell’Ottocento, del resto, nel suo famoso programma di diritto criminale che costituisce la base di qualunque studio che si voglia fare in materia penale, Francesco Carrara scriveva: “Per analogia non si può estendere la pena da caso a caso: per analogia si deve estendere da caso a caso la scusa”.
     
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